Articoli

40-50 anni e il web

In quale misura lo sviluppo della tecnologia informatica condiziona le prestazioni di chi è ancora giovane, ma ha ormai superato i 40-50 anni e opera in mansioni che richiedono il ricorso alle nuove tecnologie informatiche? È l’interrogativo che si è posto Maddalena Bonaccorso (1), in considerazione:

  • dei rapidi cambiamenti di tali tecnologie (dai social network alla intelligenza artificiale)
  • delle competenze/conoscenze/esperienze che queste richiedono (anche ai top manager)
  • della comprensione del nuovo linguaggio
  • della vastità di campi/settori che la nuova tecnologia ha toccato.

Tale interrogativo cela l’obiettivo di salvaguardare il valore della esperienza acquisita sul lavoro nel tempo affinché resti utile nel “nuovo” mondo, nonché di evitare situazioni di ansia sul lavoro a chi non abbia esperienza delle nuove tecnologie informatiche, ma si rende conto della necessità al loro ricorso.

Inutile dire che questa situazione comincia a riguardare anche l’Italia.

La Modern Edelr Academy (o accademia per anziani moderni) californiana si è posta questo obiettivo e ha cercato di organizzarne il conseguimento, ossia di “soccorrere” coloro che, consapevoli del problema, si trovano nella difficoltà di operare per realizzarlo.

Gli interventi operati dalla suddetta struttura spaziano in campi diversi: dalla analisi transazionale, allo yoga, a interventi di sciamani, a meditazioni guidate; insomma, tutto quanto serve per affrontare un nuovo modello di vita e di lavoro ed uscire dall’area dei “vecchi”, per non essere emarginati sul lavoro.

In pratica, si tratta di:

  • imparare a “coniugare le competenze digitali con l’esperienza e la saggezza” e superare difficoltà sia tecniche (implicate dalla nuova tecnologia) che psicologiche (implicate dal gap di conoscenze con i colleghi di lavoro più giovani)
  • evitare perdita di autostima e di dignità, depressione: tutti aspetti che possono coinvolgere le dinamiche sociologiche e portare ad uno scontro generazionale.

“Per uscirne (scrive Franco Ferrarotti, Università La Sapienza di Roma), si deve operare una totale rimodulazione dei valori e dei principi guida che ispirano le vecchie generazioni”.

La transizione/aggiornamento deve avvenire non solo attraverso semplici “corsi di formazione”, ma anche con l’affiancamento, per un opportuno periodo di tempo, a giovani social media manager. Si tratta, infatti, di imparare anche il nuovo linguaggio e i codici utilizzati dalla tecnologia emergente; in realtà, si tratta di “cambiare mentalità”. Andrea Albanese (della WMM) fa notare che “si tratta di capire che c’è un aspetto di astrazione, nel nuovo mondo digitale, che nel pensiero strutturato del manager vecchio stampo non era contemplato. Occorre cambiare punto di vista, entrare nell’ordine di idee che la realtà in cui si opera è sempre in divenire. Basta un cambiamento dell’algoritmo ed ecco che bisogna ricominciare da capo. Quando se ne rendono conto, molte persone entrano in crisi”. Ecco, allora, il perché del lavoro di coaching mentale operato dai suddetti corsi di formazione.

Ma attenzione: il problema da affrontare -come più sopra specificato- non è unicamente quello di restare aggiornati sull’evoluzione in corso nel campo della tecnologia informatica, ma di essere consapevoli che non si può trascurare il valore dell’esperienza (declassandola quasi a “pregiudizio”) a favore della rapidità di cambiamento. Un “errore” di questo tipo non consentirebbe di guardare al traguardo futuro in modo controllabile, ossia di definire su quali “basi” vogliamo che esso si regga. In altri termini, occorre prendere in considerazione le conseguenze sociali che l’evoluzione della tecnologia sta comportando, rivalutare il rilievo dell’esperienza e della responsabilità individuale, della cultura individuale e riprogettare -cioè non subire- l’evoluzione. È questa la considerazione che porta alla necessità di creare un linguaggio comune fra le generazioni: quella dei 40-50enni (per introdurli al linguaggio implicato dall’evoluzione tecnologica) e delle generazioni emergenti. Solo in tal modo risulta possibile gestire l’evoluzione senza escludere il valore sia dell’esperienza che della tecnologia.

Pertanto: “intelligenza emozionale, curiosità intellettuale, acume, capacità di dialogo e di fare squadra, empatia, esperienza”, per progetti che mirino a valori veri e condivisi. Solo in tal modo (asserisce Fabrizio D’Eredità, della Egon Zehnder) si può gestire la trasformazione.

Ma i suddetti requisiti implicano altresì curiosità e volontà di capire, autorevolezza e carisma da parte dei capi: condizioni, queste, ineludibili per diventare realmente punti di riferimento in azienda.

Buona lettura!

(1)   vedi “Panorama” del 17 aprile 2019, pagine da 62 a 66

L’Intelligenza Artificiale e l’Uomo

Nella sezione Notizie del Coaching, trova spazio un interessante quadro delle linee guida contenute nel quadro normativo per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Perché al centro c’è l’uomo, e i suoi valori universali.

Anche la Commissione europea, dopo Stati Uniti, Cina ed altri stati, ha delineato il proprio approccio alla intelligenza artificiale ed alla robotica avanzata. È un problema di rilevanza economica e politica. Focus dell’approccio è: “l’uomo al centro”.

Partendo dalle discipline normative esistenti e aggiornandone l’orizzonte, l’attuazione prevede la definizione di un quadro normativo (pertanto, non di una legge) e indirizzi di etica della tecnologia, sulla base della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Il lavoro di una Commissione ad hoc ha già portato alla pubblicazione di una prima versione delle linee guida. Considerata l’evoluzione continua del settore robotica, la regolamentazione resta aperta alla possibilità di continui aggiornamenti. Ma l’indirizzo centrale ècostituito dall’intenzione di volere “promuovere i valori umani”, in quanto “lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale non deve essere percepito come un fine in sé, ma con lo scopo di aumentare il benessere dei cittadini”. L’adesione ai principi proposti dalla regolamentazione resta affidato alla scelta della singola impresa, del ricercatore e/o utilizzatore. A tutti i soggetti operanti in ambito internazionale che condividono le affermazioni contenute nel documento, verrà consentito di firmare ed aderire pubblicamente a questo documento.

Focus del documento è quello di una “intelligenza artificiale affidabile”: ossia, prodotti tecnicamente affidabili e persone che possono fidarsi della tecnologia. Il che presuppone la definizione di ciò che è buono, giusto, di che cosa possa costituire una “buona vita”.

Questa definizione comporta problemi etici assai rilevanti e diversi:

  • dal potenziamento umano(possibilità di manipolare il proprio corpo, attraverso la tecnologia per superare limiti fisici o mentali considerati invalicabili), allo sviluppo e uso di armi, completamente autonome (non soggetta dunque alla decisione umana di uccidere o meno)
  • dalla possibilità di analizzare dati complessi di un individuo, riferibili alle sue abitudini, preferenze, ad arrivare a predire o manipolare il suo comportamento.

La Commissione europea ritiene che, per potersi fidare della tecnologia, questa persegua uno “scopo etico”.

Mentre l‘affidabilità tecnica è connessa al ricorso alle migliori conoscenze, lo scopo etico è connesso sia al rispetto dei diritti fondamentali e delle discipline normative, che al rispetto dei seguenti cinque principi fondamentali:

  • beneficenza: sviluppo economico, equità sociale e tutela dell’ambiente;
  • non maleficenza: l’intelligenza artificiale non deve nuocere all’uomo; pertanto: no a discriminazioni, manipolazioni del singolo o dell’opinione pubblica;
  • autonomia: assicurare la libertà degli esseri umani dalla subordinazione o dalla coercizione di sistemi di intelligenza artificiale, il cui uso non deve diventare obbligatorio. Ad esempio, un medico non dovrebbe essere costretto, per svolgere il proprio lavoro, a fare ricorso a sistemi esperti (programmi di intelligenza artificiale);
  • giustizia: uso, sviluppo e regolazione della intelligenza artificiale devono essere delineati per rispettare un principio di equità, garanzia di uguali opportunità, rispetto delle etiche imposte dalla società, risarcimento in caso di incidenti;
  • comprensibilità: trasparenza della tecnologia e del modello di business.

I primi quattro principi ripercorrono quelli della bioetica nord-americana, e cioè di autonomia, in contrapposizione a quello europeo della dignità umana. La scelta consiste nel principio che la dignità umana fonda la autonomia, che a sua volta si concretizza, a livello applicativo, nel principio del consenso informato. “Il singolo deve essere informato perché possa comprendere e quindi liberamente determinarsi, potenzialmente senza limiti”.

Il quinto principio costituisce una novità, specificatamente imposta dalle tecnologie emergenti.  Il ricorso ad algoritmi e all’intelligenza artificiale avverrà per far fronte, in modo automatico, a scelte imposte dalla nostra vita; e tali scelte imporranno la necessità di una completa comprensione del procedimento utilizzato dal sistema per la decisione.

Il problema della realizzazione di questa macchina sta:

  • nel tipo di approccio della macchina: il ”machine learning”, ossia il fatto che il sistema modifica autonomamente il proprio funzionamento nel tempo, imparando dall’esperienza;
  • nell’analisi dei big data, che possono rendere non trasparente il processo decisionale della macchina.

Fra i rischi contemplati si cita “l’inganno”. Un essere umano interagendo con un robot androide o un sistema di intelligenza artificiale, potrebbe non distinguere la natura artificiale della macchina, sviluppando una affezione irrazionale. Di qui il principio che ogni forma di inganno sia prevenuta, che l’essere umano sia informato della vera natura della macchina. Ma se la simulazione e l’apparenza che si venisse a creare fosse desiderata dall’uomo (l’autore dell’articolo citato fa l’esempio di un rapporto sessuale), sarebbe sufficiente un consenso a rendere l’utilizzo della macchina eticamente accettabile?

Buona lettura!

  • Da: La lettura, del 23 dicembre 2018, “Un’etica per i robot”, estratto da pag.14,15; a firma Andrea Bertolini.

Coaching e Imprenditorialità

Lo sviluppo della Progettualità individuale è sempre alla base del successo del  progetto di Impresa. E il Coaching è lo strumento principe per far emergere il progetto di vita che è fondamenta dell’avvio di ogni iniziativa imprenditoriale.

Il corso Start-Yourself-Up, in partenza il prossimo Ottobre, risponde proprio alla necessità di formazione e sviluppo dell’Imprenditore, integrando efficacemente le visioni e i progetti dell’Uomo e della sua Impresa.

Harvard Business Review, in una sua recente pubblicazione, ha preso in esame proprio la figura dell’Imprenditore: perché – si chiede Balachandra, assistente al Babson College – una proposta imprenditoriale promettente sulla carta può perdere ogni attrattiva quando si interloquisce con chi la presenta?  Da questa domanda ha preso spunto l’analisi della relazione fra venture capitalist e imprenditore.

Mentre la maggior parte degli imprenditori ritiene che le decisioni in merito a un investimento si fondino sulle informazioni e sulla logica di una presentazione (deck), la maggior parte dei venture capitalist, avendo già preso visione di questi elementi, focalizza l’attenzione sulla personalità del fondatore e da lui si aspetta alcuni chiarimenti.

Dall’analisi di 108 presentazioni (Entrepreneurship Competition del MIT), Balachandra giunge alle seguenti considerazioni:

  1. La passione – a denotare l’energia – nonchè la determinazione e l’impegno del fondatore sono sicuramente aspetti positivi, ma è la sua calma, in quanto indice di forte leadership, a costituire il fattore più convincente per chi esprimerà alla fine una valutazione
  2. In una presentazione, il carattere e l’affabilità del fondatore assumono un peso più rilevante della sua competenza; e forse altrettanto importanti sono la sua onestà e rettitudine, fattori che attenuano l’area di rischio. Non così rilevante, invece, è la carenza di competenza, perchè si ritiene possa essere colmata assumendo un talento supplementare
  3. La decisione di investire non scaturisce solo dai potenziali rendimenti, ma anche dalle preferenze personali. Essendo gli investitori, per la maggior parte, imprenditori esperti, amano avere la possibilità di fare Coaching della nuova iniziativa per portare un valore aggiunto. Del fondatore della nuova impresa, si apprezzano, in fase di presentazione, comportamenti che siano indice di apertura ai suggerimenti.
  4. Il genere – maschile o femminile – del fondatore (rileva Balachandra) sembra non influenzare la probabilità di successo della presentazione di una StartUp, anche se le persone “con una elevata componente comportamentale identificabile con lo stereotipo femminile (calore, sensibilità, espressività ed emotività) sembra abbiano avuto meno chance di quelle caratterizzate dallo stereotipo maschile (forza, dominanza, aggressività e assertività)”.

Da questa interessante analisi prendono spunto alcune domande:

  • Come può un neo-imprenditore o uno startupper convincere a proposito del suo impegno e della propria determinazione se il suo progetto personale non è chiaro?
  • Come si apre la propria iniziativa di impresa al contributo degli altri senza un’adeguata preparazione? 

Il Coach ti aiuta a:

  • Raggiungere obiettivi sfidanti
  • Definire un Piano d’azione
  • Implementare il Piano d’azione, lavorando sull’insorgenza di ostacoli esterni e di eventuali autosabotaggi
  • Tirar fuori il meglio di te, mantenendoti focalizzato sui tuoi bisogni, sui tuoi valori e la tua visione, e attenuando, ove presenti, alcuni aspetti del tuo carattere troppo diretti o remissivi
  • Sbloccare dei limiti che senti insiti nel tuo modo di fare e di rapportarti con gli altri
  • E, venendo all’analisi Harvard Business Review: affrontare la presentazione della propria attività meno come una esposizione formale e più come una conversazione spontanea, nella quale mentalità e atteggiamento emergano rispetto ai fondamenti del business

Crediamo che ogni iniziativa passi attraverso un piano di crescita personale e della propria progettualità. Il corso Start-Yourself-Up, risponde a questi obiettivi. Fai crescere l’imprenditore che è in te!

 

(Da: Harvard Business Review, 31 maggio 2017, estratto da pag. 14-15-16 – Come i venture capitalist valutano le prospettive veramente?)