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Brand Evolution

Anche la “logica” di costruzione dei brand sta cambiando e ricorre alla veicolazione di valori e visioni innovative, prendendo “posizioni etiche” nuove. Il 58% dei millenials ritiene che un brand debba investire in cause sociali; il 95% orienta l’acquisto sui brand che antepongono, al prodotto, i propri valori in campo sociale, civile e politico. Per rendersene conto, si vedano ad esempio i testimonial dei brand di:

  • Pampers (con il tuffatore Tom Daley, icona gay)
  • Nike (con Colin Kaepernick, che restò seduto, per protesta, durante l’esecuzione dell’inno nazionale)
  • un insieme di marche che ha deciso di schierarsi nel voto nelle elezione americane di mid-term
  • Patagonia (che si schierò in difesa delle foreste)
  • Airbnb (campagna per i rifugiati)
  • Lewis’s (contro la violenza nell’ambito familiare).

È in atto un matrimonio tra dati e creatività…P er i brand le campagne punteranno sempre all’originalità” afferma G.Stigliano dell’Università Iulm di Milano.

L’articolo citato a margine si conclude con una annotazione:” Sette trend per il 2019”. Questi sono:

  • Corporate activism: la voce pasionaria dei brand. Raccontare la contemporaneità anche “mettendoci la faccia”; un brand contemporaneo migliora reputazione e business; chi racconta meglio crea valore;
  • Social commerce: esperienza d’acquisto immersiva. Ciò che crea valore è l’esperienza di intrattenimento del brand. Ad esempio, acquisti online veicolati sui media sociali, coinvolgimento dell’esperienza d’acquisto del consumatore connesso. L’acquisto sembra favorire marche che adottano la realtà virtuale o aumentata;
  • Più diversità, meno stereotipi: i mille colori del brand. Nel 2019 le marche punteranno a valorizzare i temi della diversità e inclusione; la narrazione femminile e il contesto geografico in cui si colloca il brand entreranno nelle strategie di marketing;
  • Video ovunque: i mille schermi dei brand. Saranno quelli miniaturizzati (smartwatch, smartphone) o meno (quelli di ultima generazione, quelli iconici e impattanti delle città connesse con DOOH; quelli del video verticale; quelli del social fotografico instagram).
  • Amici o star?: gli influencer della porta accanto. “Oggi il rapporto tra brand, influencer e community passa dai due driver di riferimento: la presenza in micro-spazi (nei quali ognuno è parte di più contesti di consumo) e il fatto che la rete amplifica le occasioni di notorietà di un brand e la validazione ad opera di nostri pari. Per i nano-influencer, la credibilità diventerà più importante della reach. L’influencer si dividerà tra gli amici della porta accanto e le nuove star, i produttori di un contenuto di spettacolarizzazione”;
  • Intelligenza artificiale e macchine learning: dati, dati, dati! Saranno i dati il “nuovo petrolio” del XXI secolo; e questi condizioneranno anche le strategie del brand; si verificherà un’esplosione di progetti basati su intelligenza artificiale e macchine learning;
  • Il valore delle nicchie: la tribù connessa che balla. Le aziende si riuniranno in tribù e non si rivolgeranno più a fasce indistinte di utenti, più o meno ampie, ma ad elevato impatto valoriale; super-consumer impegnati anche socialmente. L’impresa deve guardare oltre i semplici obiettivi sociali.

Buona lettura!

(1) Da: Il Sole 24 ore, del 28 dicembre 2018, “Social, video, dati e persone. I brand si tuffano nella realtà”, estratto da pag.1.31; a firma Giampaolo Colletti. Significativo il sottotitolo: I trend del 2019. Autenticità, contemporaneità, esperienza. E impegno sociale, civile e politico; le tendenze che domineranno il prossimo anno.

Aziende: piccole ma innovative

La riflessione trae spinto dall’nteressante articolo di Benedetta Gandolfi comparso su Wall Street Italia.

Il sottotitolo  recita: “La tecnologia da sola non fa innovazione; sono le persone che fanno la differenza. Compito dell’azienda è quello di stimolare la creatività dei propri collaboratori, favorendo e assecondando la loro curiosità e passioni”.

Giusto – verrebbe da commentare – ma quanto rende? E i rischi?

La prima considerazione fatta da Benedetta Gandolfi è che, a livello di vertice aziendale, anche se nelle strategie aziendali si fa sempre più largo il termine innovazione, pure sono ancora forti i timori di inserire questo aspetto fra le priorità aziendali.

Il mondo industriale oggi ha a disposizione tecnologie digitali e di automatizzazione in continua evoluzione, che ampliano lo scenario operativo e di mercato (si parla di quarta rivoluzione industriale): ma questo scenario impone un  adeguamento sia del rischio d’impresa che della cultura del personale. Sì, cultura del personale, perché oggi è la velocità di adeguamento che fa la differenza, non più necessariamente la dimensione aziendale. Le aziende non possono più vivere di rendita; l’Italia è posizionata assai male quanto a propensione al cambiamento e al rischio che il cambiamento comporta. Eppure siamo consapevoli che occorre il coraggio e la capacità di scardinare i freni della burocrazia, di incentivare l’innovazione in tutti i suoi aspetti strategici, a livello sia di paese che di industria.

L’innovazione parte dalla creatività delle persone, dunque, dalla loro curiosità, dal loro atteggiamento mentale: ora nelle aziende più piccole, dove minore è la complessità della struttura del personale, il personale ha in genere maggiore possibilità di esprimere la propria creatività e questa considerazione spiega perché siano proprio talora queste aziende le più veloci a cambiare strategia. Risultato, beninteso, registrato anche in alcune grandi aziende, ma là ove la cultura del personale è aperta all’innovazione, non condizionata da soluzioni consolidate, attenta a raccogliere il contributo creativo del proprio personale.

L’articolo, al riguardo, cita varie testimonianze di alcuni vertici aziendali. Riporta una frase di Steve Jobs: ”non si assumono le persone intelligenti per dire loro cosa devono fare ma perché lo dicano loro a noi”; e il ceo di Google: occorre “assumere figure di profilo significativo e valorizzarle per quello che sanno fare”. Insomma: l’innovazione nasce dall’uomo; è dalla sua capacità di esprimere idee che nasce il nuovo, dal suo pensiero critico e creativo. Guai a chi non si orienta rapidamente in questa direzione, per paura dei rischi che ciò inevitabilmente comporta. Ma, sostiene Joichi Ito (Mit Media Lab), i rischi possono essere fortunatamente “affrontati come piccoli esperimenti con bassa probabilità di fallimento… Una società deve assomigliare più a una piattaforma di sperimentazione che a una organizzazione centralistica e centralizzata”.

E voi? Quali sono le vostre esperienze e riflessioni? Scrivetemi tramite la pagina contatti e pubblicherò i vostri contributi.

Buona lettura!

Da: Wall Street Italia del 23 novembre 2016, estratto da pag. 26, 27, 28, 29

Titolo originale: “Innovazione, una sfida che passa dalle persone a firma: Benedetta Gandolfi.

L’innovazione in chiave 4.0 diventa realtà

Ancora una volta la creatività  come elemento fondamentale per creare nuove realtà, creatività applicata come principale leva per la nascita della nuova era Industriale 4.0. Creatività che genera nuove tecnologie smart ma soprattutto un nuovo modo di fare Impresa e di soddisfare l’attuale domanda di prodotti e servizi. In un periodo di recesso, studi del Policlinico ci lanciano un messaggio positivo e dichiarano la reale possibilità di invertire questa tendenza e recuperare efficienza e produttività nel settore manifatturiero.

L’articolo originale lo trovate qui