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Libera professione e imprenditorialità

Accogliamo un interessante articolo di Arcangelo Marino, Business Manager e Partner presso Allianzbank F.A.

Una delle tematiche più affrontate negli ultimi periodi è sicuramente la gestione e la promozione dell’imprenditorialità, sia come sviluppo della libera professione sia come gestione aziendale. In questo contesto si ricordi che il mondo imprenditoriale italiano è storicamente composto da PMI.

L’indagine GEM (Global Entrepreneurship Monitor) è la più estesa rivelazione internazionale relativa all’attività imprenditoriale. L’attività del GEM è composta di due indagini: la prima che qualifica il livello di attività di impresa mentre la seconda considera il livello di informazione a cui si ha accesso, attraverso interviste ad esperti.

Un dato da tenere in considerazione, parlando di libera professione, è l’attivazione imprenditoriale: ossia la percentuale di nascita di imprese e quali soggetti le attivano. Immediatamente dopo la fase embrionale va considerata la distribuzione di reddito tra imprenditore e lavoratore dipendente. Si registra che i livelli di reddito, in media, sono simili. Questo è un dato nefasto per coloro i quali si accollano il c.d. “rischio di impresa”, che non vede in concreto i vantaggi economici della gestione di un’attività propria.

A questi numeri è necessario aggiungere le cessazioni, intendendo con ciò la percentuale di uscita delle attività imprenditoriali che vanno legate al numero di imprese esistenti (stock di imprenditorialità). Le quali hanno visto negli ultimi anni una flessione negativa. Leggendo i dati pubblicati dalla Fondazione Aristide Merloni si nota come nel 2008, causa anche la crisi economica, si è registrato un picco di cessazioni. Questo dato fa il paio con la diminuzione di attività consolidate.

Altro topic considerato dalle interviste condotte da GEM è legato alla formazione dei potenziali imprenditori, queste riportano che circa il 30% degli imprenditori ha frequentato un corso di formazione.

L’alto tasso di frequenza di un corso specifico però non è un indice di bontà di questi stessi corsi che non sono strettamente legati all’aumento della propensione imprenditoriale. Anche quest’ultima, analizzata dallo studio GEM 2018, mostra una discrepanza tra intenzione e propensione imprenditoriale. Una legata alla volontà mentre la seconda alla, più concreta, messa in atto dell’attività stessa.

A stretto contatto, con i livelli di intenzione imprenditoriale, siedono anche le condizioni mentali, la paura di fallire, la percezione post-crisi, la diffusa disincentivazione – data anche dalle condizioni fiscali – portano molti soggetti a non cogliere delle opportunità nell’imprenditorialità.

Si aggiunga, al quadro delineato, anche una mancata consapevolezza dell’esistenza di particolari hub che favoriscono la nascita di imprese, specie se “start-up innovative”. I quali consentono, ai potenziali imprenditori, di destreggiarsi non solo nella gestione del rischio e nel “crowdfunding” ma anche nell’espletamento delle pratiche amministrative preliminari, necessarie per la creazione di un’attività. La promozione e la diffusione di queste realtà potrebbe far sì che non ci si concentri in attività da “old economy” ma si possa vedere oltre, trovando anche nell’attività privata una realizzazione economica e personale.

Arcangelo Marino – Business Manager e Partner presso Allianzbank F.A.

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