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Un nuovo modello organizzativo

L’organizzazione aziendale degli ultimi decenni ha preso in considerazione e ha tentato di attuare diversi approcci per rispondere all’evoluzione delle attese del Cliente (efficacia operativa), salvaguardando l’efficienza operativa (l’aspetto economico connesso alla risposta a tali attese): dal Total Quality Management alla Lean Organization, alle numerose e diverse metodologie di lavoro che discendono da queste due filosofie organizzative. Ora, due articoli interessanti ripropongono il tema dell’adeguamento organizzativo, sotto la spinta di una innovazione “elevata” imposta dal mercato (società ed economia globale) e dalle nuove problematiche emergenti.

Secondo una ricerca di Deloitte (“The new organization different by design”) su 7.000 Business e HR leader di 130 paesi:

  • L’82% ha in corso o ha completato una riorganizzazione aziendale
  • Il 92% ritiene che la riprogettazione del modo di lavoro costituisca una sfida chiave.

L’innovazione imposta oggi dal mercato è superiore alla capacità attuale di risposta delle aziende, in quanto frenata dalla loro cultura e leadership. Sono fattori frenanti i limiti culturali e strutturali quali:

  • Burocrazia, gerarchia, controllo, resistenza al cambiamento, mentalità a compartimenti stagni, accettazione passiva delle decisioni del livello superiore, focalizzazione al breve termine;

mentre occorrerebbe:

  • Motivazione, collaborazione, senso di responsabilità; processi e sistemi estremamente semplificati e smart, orientamento all’apprendimento e al miglioramento continuo, comunicazione aperta, riconoscimento per l’impegno dei dipendenti, attenzione alla soddisfazione di clienti e stakeholders. Insomma, partecipazione allo sviluppo dell’impresa (“modello Aequacy di Asterys”) e valori di supporto quali: fiducia, accountability, partenership, apprendimento continuo.

Questa cultura e atteggiamento dovrebbero scaturire dalla evoluzione dell’organizzazione aziendale da quella attuale di “tipo piramidale”, a una che vede le decisioni non tanto provenienti dal vertice, ma da un team che:

  • Condivida e coordini i principi guida e i valori aziendali
  • Sviluppi la collaborazione sia infra che inter team auto-organizzati
  • Operi attuando un rapporto è di uguaglianza e non di subordinazione, in modo tale che:

o La partnership sostituisca la leadership

o Il coordinamento delle attività si basi su rapporti paritari e non gerarchici

o La consapevolezza sia a livello di sistema

o I team siano in grado di auto-organizzarsi, senza supervisione manageriale e abbiano libero accesso alle informazioni necessarie per operare in ottica aziendale e assumere anche la responsabilità finanziaria.

Così operando, i componenti dei team acquisiscono fiducia nelle loro capacità e sono in grado di lavorare in autonomia decisionale ovunque e pari grado, promuovendo gli scopi societari.

Questo modello organizzativo significa abbandono della attuale gerarchia aziendale per una forma di auto-organizzazione (in team), di “organizzazione radiale tra pari”, che promuove lo spirito imprenditoriale di ogni dipendente, il valore del merito, la responsabilità reciproca fra i componenti del team e nei confronti dell’azienda, la velocità e la autonomia decisionale senza una funzione di controllo formalmente istituita. La fiducia ha preso il posto del controllo.

Utopia?

È innegabile la diffidenza degli HR, almeno di quelli italiani, per questo modello organizzativo.

L’autore dell’articolo a riferimento (1), comunque, nel sottolineare che “la struttura influisce sul modo con il quale agiamo”, cita casi di organizzazione di questo tipo che hanno conseguito risultati economici superiori a quelli tradizionali: l’olandese Buurtzorg, la francese Favi, l’americana C&S Wholesale Grocers, la StartUp italiana guidata da Antonio Abadessa, e altre ancora.

In particolare, sarebbero le aziende cui il mercato richiede un alto tasso di innovazione e creatività che dovrebbero essere le prime a percorrere questa via, sia pure per gradi, perché le libererebbe da vincoli burocratici. Ovviamente, è percorribile (come già accade) anche la strada di un mix fra organizzazione tradizionale e quella sopra descritta, situazione in cui i confini dell’autonomia organizzativa si spostano a seconda dei gruppi di lavoro.

Il suggerimento per l’attuazione di questo modello organizzativo è quello di iniziare con un progetto pilota, gestito da un team del tipo sopra descritto, per estenderlo poi piuttosto rapidamente a tutta l’organizzazione, in un clima di trasparenza, fiducia reciproca, feedback continui fra pari, attenzione a tutti gli stakeholders.

Quali sono i requisiti per realizzare questa nuova forma organizzativa?

  • Un contesto abilitante adeguato: team auto-organizzati che lavorano in autonomia per conseguire gli scopi dell’azienda e un sistema di coordinamento basato su rapporti paritari; responsabilità finanziaria estesa a ogni team e orientamento al miglioramento continuo; decisioni basate sull’assenso fra i componenti del team
  • Lo sviluppo di valori quali fiducia, senso di responsabilità reciproca e collaborazione tra colleghi e verso l’azienda
  • La realizzazione di sistemi smart orientati a semplificare le regole organizzative del passato
  • Un flusso aperto delle informazioni per aumentare esperienza, consapevolezza di come affrontare i problemi
  • Lo sviluppo della capacità di ogni persona di lavorare in autonomia e in team
  • Una chiara visione delle dinamiche di team e di quelle dell’intera organizzazione, per assicurare performance ottimali.

Se è innegabile che ci deve essere la consapevolezza della necessità e della velocità con cui affrontare il cambiamento, è altrettanto vero che per affrontarlo occorre però anche entusiasmo.

Per interpretare e affrontare il contesto competitivo in cui l’impresa sta operando, il Journal of Knowledge Management propone il “modello del cambiamento come costante” (“The role of a Knowledge Leader in a Changing Organizational Environment”- (2)), con un saggio che fa specifico riferimento all’area del digitale e analizza l’aspetto “velocità del cambiamento”.

Mettendo in relazione fra di loro velocità e direzione strategica, il modello identifica 4 casi:

  • Nel caso in cui la velocità sia bassa, se non si ricorre al cambiamento si verifica la Decadenza
  • Se la velocità è elevata, allora si verifica una “Evoluzione”; in ogni caso, i fenomeni sono graduali
  • Nel caso in cui la velocità sia alta, se si sbaglia, la direzione implode
  • Cogliendo la giusta velocità, invece, si attua un cambiamento aziendale radicale in un contesto dirompente (“Rivoluzione”).

Ovviamente, il cambiamento richiede che il management abbia la capacità di indirizzare il personale coerentemente con la visione posseduta (il “dove” si vuole/deve andare), pena il finire in una situazione di “Frustrazione” (ove manchino indirizzo del personale e visione) o di “Egotismo del leader” (quando manchi la visione: il leader è focalizzato su se stesso e finisce per “staccarsi” dall’organizzazione). L’incapacità di guidare il personale verso la meta, lasciandolo a se stesso, viene definito “Voyeurismo manageriale”.

Ecco allora che solo se il leader sa dove andare ed è capace di guidare l’organizzazione verso la meta si può generare l’Entusiasmo indispensabile alla evoluzione organizzativa.

Secondo le valutazioni più recenti, il contesto competitivo attuale sta evolvendo con una velocità dirompente, con il rischio di Implosione o Rivoluzione. Ora, in tale contesto, il management deve orientarsi verso la Rivoluzione (“Revolution”) e guidare l’organizzazione in questa direzione, promuovendo Entusiasmo (“Elation”): deve cioè ricorrere alla “Revelation” (rilevazione). Questo consentirà, secondo gli studiosi di questa teoria, di cogliere opportunità uniche di questo momento storico e vincere in competitività.

Buona lettura!

(1) Da: L’Impresa, “Nuove catene del valore”, del 7 marzo 2018, pagg. 86-90, a firma Ga.Fier

(2) Da: Il Sole-24 ore, “Per affrontare le novità ci vuole entusiasmo”, del 8 marzo 2018, pag.8, a firma Bernardo Bertoldi e Camillo Rossotto

Effetto Pigmalione e la fiducia in Azienda

Nella mitologia greca, la storia di Pigmalione è stata narrata da Ovidio per spiegare come le aspettative possano influenzare un determinato risultato.
Lo scultore greco, dopo aver realizzato una statua rappresentante il suo ideale di femminilità, viene premiato dalla dea Venere per la sua dedizione all’amore, questa infatti esaudisce il suo desiderio e dà vita alla statua, trasformandola in Galatea.

In seguito il mito di Pigmalione è stato ripreso in diverse opere, la più famosa è sicuramente la commedia di George Bernand Shaw, e perfino in psicologia.

Di fatto attraverso lo studio del mito di Pigmalione, il noto ricercatore Robert Rosenthal è arrivato a confermare la teoria delle “profezie che si autoavverano”.

Un approfondito studio sui rapporti interrazziali e sul ruolo delle aspettative in questi contesti è stato fatto da Robert Merton nel 1948, prima ancora che da Rosenthal.
Merton aveva descritto la profezia che si autoavvera come “una supposizione che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità”.

Quindi un’opinione anche se non veritiera, può portare una persona a comportarsi come predetto.

Lo studio di Rosenthal

Rosenthal e la sua équipe realizzarono un esperimento di psicologia sociale all’interno di un istituto scolastico americano. Innanzitutto fecero sottoporre tutti gli alunni di una classe delle elementari a un test di intelligenza, in seguito selezionarono un gruppo ristretto di bambini e li presentarono agli insegnanti come i migliori alunni della classe, ignorando totalmente i risultati del test. Annunciarono agli insegnanti che questo gruppo di bambini era molto promettente e che quindi avrebbero potuto aspettarsi da loro grandi risultati.

Dopo un anno, l’équipe ritornò nell’istituto per verificare i risultati dell’esperimento. Gli alunni che erano stati segnalati agli insegnanti come i migliori della classe avevano ottenuto grandi risultati dal punto di vista scolastico, incrementando notevolmente il loro rendimento scolastico e le loro capacità.

Il solo esprimere fiducia nelle capacità di quel gruppo ristretto di bambini aveva stimolato il loro interesse e il loro impegno verso lo studio.

Un giudizio negativo di un insegnante verso un alunno può influenzare la percezione che lo stesso alunno ha di sè stesso, mettendo in atto un circolo vizioso per cui il bambino una volta interiorizzato il giudizio si comporterà di conseguenza, rendendo veritiera l’opinione iniziale dell’insegnante.

Il discorso può spostarsi agli stereotipi, i quali sono fortemente resistenti al cambiamento. Nella nostra mente si attiva un meccanismo mentale per cui si cerca di individuare nel mondo delle nostre osservazioni solo quelle che ci permettono di confermare l’opinione iniziale che avevamo. È inoltre in forte correlazione con la cosiddetta “legge di Murphy” secondo la quale se ci aspettiamo che qualcosa di negativo accada questo accadrà sicuramente, proprio perchè finiremo per comportarci in modo da rendere veritiera la nostra supposizione.

Effetto Pigmalione in azienda

Questo effetto detto “effetto Pigmalione” o anche “effetto Rosenthal” si manifesta non solo nell’ambiente scolastico ma anche in altri contesti, in particolare tra capi e dipendenti in azienda. Le aspettative del capo nei confronti dei subordinati possono influenzare le relazioni interpersonali e determinare miglioramenti/peggioramenti delle performance.

Per riuscire a trasformare il circolo vizioso della profezia che si autoavvera in circolo virtuoso, ci sono alcuni pratici consigli da seguire:

  • aspettarsi sempre il meglio dai propri collaboratori, poichè aspettative basse innescano la spirale della bassa autostima (effetto Golem)
  • ricorrere a gratifiche e apprezzamenti in caso di risultati positivi
  • prendersi la responsabilità delle performance del proprio team
  • porre obiettivi sfidanti ma non irraggiungibili, cercando di ottenere dai propri collaboratori sempre un po’ di più.

Questo permette non solo di ottenere maggiori performance dai propri collaboratori, ma anche di divenire leader amati e apprezzati, che stimolano le persone a credere in se stesse e a migliorarsi.

Vi sono 5 problematiche da evitare quando si gestisce un gruppo di persone:

  • evitare di creare un ambiente in cui vi è mancanza di fiducia
  • non fare in modo che vi sia paura del conflitto e del confronto
  • evitare che le persone non si prendano le proprie responsabilità
  • evitare la mancanza di impegno
  • evitare di trascurare i risultati

Articolo a cura di Riccardo Nava, Network Manager di ProntoPro, che volentieri pubblichiamo su Business Athletics.